STORIE DI DONNE DAL PROGETTO RIGHT TO FOOD - AMINA

Oggi Monica Zambon, volontaria in servizio civile in Uganda, vuole raccontarvi una storia, anzi, meglio ancora, due diverse storie…le storie di due donne del Karamoja che si sono distinte per la loro capacità di rinascere dalle difficoltà, più forti e combattive. Per la loro famiglia, per le responsabilità di cui si fanno portavoce, per il senso di comunità che le accomuna, queste donne vengono identificate col nome di “model farmers”.
Nel contesto arido e difficile del Karamoja, di fronte ad una pratica agricola spesso solo focalizzata alla sussistenza, dove il lavoro nei campi è faticoso ed estenuante, dove la donna si vede caricata della responsabilità di nutrire i propri figli con il frutto del sudore della fronte, ecco che emergono testimoni di crescita.

"È nella sub-county di Moruita nel Distretto di Nakapiripirit che ho potuto incontrare Akol Amina (46 anni). Amina ha una grande famiglia. Oltre a sè stessa e al marito, deve mantenere 12 bambini, 9 dei quali biologicamente suoi figli e 3 orfani della sorella, di cui si prende cura. Amina si è unita al progetto Right to Food nel 2013, quando ha partecipato alla formazione del gruppo APFS (Scuole agro-pastorali) chiamato Riam-Riam e di cui è anche tesoriere. Amina mi racconta che prima di unirsi al gruppo, la sua vita era molto difficile. Troppe bocche da sfamare, troppi bambini da mandare a scuola, troppe persone a cui fornire un futuro migliore. Nel momento in cui il gruppo viene avviato, Amina si inserisce in particolare nel processo di VSLA, ossia risparmi e prestiti. Comincia a contribuire al risparmio comunitario, prende in prestito dalla cassa comune del gruppo per pagare le tasse scolastiche dei figli, in particolare per far fronte agli alti costi della scuola secondaria, e cerca di mettere da parte qualcosa ogni settimana per rinsaldare il prestito.
Amina si approccia al progetto con entusiasmo, prendendo parte ai corsi di formazione agricola per la coltivazione dei pomodori, del mais e di vegetali locali; per la produzione di pesticidi naturali per il controllo delle malattie delle piante che, mi racconta, lei produce mischiando un po’ di sapone con delle foglie di pianta di cipolla macinate e che fa fermentare poi per tre giorni prima dell’applicazione; per la fabbricazione di fertilizzante. Grazie alle tecniche apprese, ora il suo lavoro riesce a garantire cibo per l’intera famiglia durante tutto l’anno, anche quando la stagione secca si fa più dura. Quest’anno ha piantato 4 acri di fagioli e di mais ottenendone 16 sacchi da circa 1.000 Kg di mais l’uno e 4 sacchi da 100 kg di fagioli. Il raccolto viene conservato in un silos d’acciaio in casa sua per quanto riguarda il consumo personale, mentre il resto viene conservato in sacchi di iuta per la vendita. Amina mi dice che la maggior parte viene venduto, perché con i soldi lei può pagare la scuola, può acquistare verdure nella stagione secca e altre granaglie, come il sorgo, per poi produrre birra locale e rivenderla. Le chiedo come mai non tenga maggiore quantità di cibo per l’autoconsumo, e lei mi risponde, con aria un po’ sorpresa, che i soldi ricavati dalla vendita non le permettono di sopravvivere, come farebbero mais e fagioli in sé, ma di alzare la qualità della sua vita e di quella dei suoi figli. Con i soldi fa girare l’economia insomma, non si limita a riempirsi la pancia.
Amina racconta come, di fronte al buon raccolto, abbia deciso di diversificare le sue entrate e nel 2015 ha comprato due capre. Ad un anno e mezzo di distanza dall’inizio del suo nuovo progetto le capre sono 30 e, mi dice, facendosi seria, gli animali rappresentano una banca per lei, sono la sua assicurazione in caso di necessità. Quando tutto il mais ed i fagioli dell’anno sono finiti e qualcuno sta molto male o vi è un serio bisogno di soldi, si vende una capra. Sono per lei una garanzia di sopravvivenza per i tempi duri.
Durante i tre anni di progetto Amina non ha imparato solo a coltivare vegetali o allevare capre, ha partecipato a diversi momenti di sensibilizzazione e quello che più le è stato d’aiuto è sicuramente il corso di formazione sulla proprietà della terra. La comprensione di quelli che sono i meccanismi necessari all’acquisizione della terra su cui coltiva, le hanno permesso di farsi portavoce del proprio gruppo presso il governo locale e con il supporto dei vicini, degli anziani del villaggio e dell’LC1, si è recata alla sub-county per assicurare la proprietà del terreno. Un altro corso che le ha fatto aprire gli occhi è quello sulla protezione dell’ambiente. Grazie a questo corso ha compreso il ruolo degli alberi nel ciclo naturale della vita, il ruolo che svolgono non solo in quanto protezione per il raccolto dai raggi solari nelle ore più calde, ma anche in quanto mezzo di attrazione per le piogge.
Amina è una donna piena di vita e di voglia di fare. Mentre mi mostra con orgoglio le sue capre e mi porta in visita all’orto (che adesso si trova in riposo a causa della stagione secca) mi chiede se si potrebbe organizzare un nuovo corso per lei ed il suo gruppo sulla trazione animale, come mezzo alternativo per la coltivazione. Coltivare a mano è faticoso, soprattutto le grandi distese che mi sta mostrando, ed è molto dispendioso perché spesso il lavoro è tale da costringerla ad assumere dei braccianti che l’aiutino. La possibilità di acquistare e utilizzare un aratro e dei buoi sarebbe per lei un sollievo e renderebbe la sua produzione più efficiente.
Continua a ripetermi quanto sia grata a Africa Mission - Cooperazione e Sviluppo per questo progetto, quanto le abbia fatto bene, non solo dal punto di vista della sicurezza alimentare, ma anche dal punto di vista famigliare. Grazie alle nuove entrate ha potuto mandare all’asilo le sue due bambine più piccole e ha risolto i problemi che affliggevano il suo matrimonio. Un po’ a disagio e imbarazzata mi racconta di come il marito, parte del corpo di polizia, la maltrattasse a causa del suo vizio del bere. Mi mostra le cicatrici in viso e sulle braccia delle bastonate e dei morsi frutto dei loro scontri. Il marito aveva altre mogli e questo la faceva soffrire. Con l’inizio del progetto, il marito si è mostrato interessato alle attività di Amina e, anche se non faceva parte del gruppo APFS, ha voluto comunque prendere parte alle attività di sensibilizzazione e alle discussioni di gruppo sui temi della violenza e dell’uguaglianza di genere, della famiglia e dell’alcool. Finalmente anche lui si è reso conto di essere vittima delle circostanze. Ha smesso di bere, ha portato i figli della sua seconda moglie a vivere a casa loro e i meeting a cui continua a partecipare, grazie all’azione svolta anche dal team di Child Protection nel Distretto, lo aiutano nella sua attività di poliziotto. Ora vivono insieme pacificamente e tutto va per il meglio.
Amina ha un cuore talmente grande che ha sfruttato la sua posizione di “model farmer” per aiutare anche altre persone. Gruppi appartenenti ad altri progetti con diverse ONG si sono recati da lei per chiederle di insegnargli le tecniche acquisite; sconosciuti si recano a casa sua tutti i giorni e in cambio di qualche aiuto in casa lei fornisce loro posho e fagioli per l’unico pasto a cui queste persone probabilmente avranno accesso. La sua è una famiglia grande adesso e non tornerebbe mai indietro.

Se dovessi tirare le somme di questa mia giornata a Nakapiripirit, 2 ore di macchina da Moroto, direi che Amina mi ha dimostrato come, nonostante la sofferenza, le avversità e le difficoltà a cui le donne del Karamoja sono sottoposte ogni giorno, esse sono piene di voglia di crescere e di spirito di altruismo. Le donne sono tra i beneficiari principali di questo progetto, ma anche quelle che raggiungono i risultati migliori, giovando non solo a loro stesse, ma all’intera comunità. La capacità di Amina di risollevarsi e camminare con le proprie gambe, cercando ogni giorno di migliorare le proprie possibilità è il più grande esempio di resilienza. "