Diario di viaggio: tra i banchi della Great Valley School

Diario di viaggio: tra i banchi della Great Valley School

Il gruppo è a Kampala dove trascorrerà gli ultimi giorni di questo viaggio. Allora non si può non fare tappa alla Great Valley School, scuola situata in una delle baraccopoli più disagiate della capitale. Qui c'è Bosco, il preside di 735 bambini. Per noi non è un semplice beneficiario, ma un amico del movimento. Leggiamo le parole di Betty

27 novembre

Prima si strappano le zampe e la coda. Solo così le cavallette non possono più saltare e finiscono dritte dritte nella padella di olio rovente. In una delle baraccopoli di Kampala dove oltre un milione e mezzo di ugandesi vive il suo inferno quotidiano, in queste mattine di novembre donne e bambini sono impegnati a "sezionare" accuratamente le cavallette che vengono poi fritte, salate e vendute per pochi scellini ai semafori della città. Il nostro "driver" Assan ci conduce lì, nello slum dove Africa Mission Cooperazione e Sviluppo ha creato una scuola: dietro c'è il sogno di un maestro, Bosco Lusagala, che oggi ha 39 anni e insegna, insieme ad altri colleghi, a 735 bambini di strada. Prima di essere insegnante anche Bosco ha vissuto nelle baraccopoli: è un ex profugo del Ruanda, arrivato a Kampala nel 1994 per salvarsi dal genocidio che gli ha ucciso il padre e la sorella. È qui che incontra un missionario comboniano, padre Valente, che gli salva la vita e anche il futuro; è qui che entra in contatto con Africa Mission una prima volta. La seconda è qualche anno più tardi quando decide di aprire una scuola per ragazzi di strada: è il 2006 e di alunni se ne contano 140. Da allora di anni ne sono passati e oggi la classe in cui ci accoglie, vuota perché qui sono iniziate le vacanze di Natale, raduna abitualmente 106 ragazzi. Ed è una delle tante della struttura piena di colori e di disegni in cui campeggiano i volti di padre Valente e di don Vittorio

"I ragazzi frequentano volentieri - ci spiega - perché per loro la scuola è un modo per non stare in strada, per avere qualcosa da mangiare, per sentirsi al sicuro". Per non finire come quelle cavallette, senza la speranza di potere prima o poi saltar via dalle baracche in cui sono nati

Betty Paraboschi